Quella storia scritta nel cielo oltre le nuvole dove l’arcobaleno posa i suoi colori

Il senso della vita nei racconti dello psicoterapeuta Mauro Notarangelo

di Mauro Notarangelo*

…Igor era intento a tagliar ceppi e intarsiar volti. Si dilettava a scolpire sguardi da rami spezzati. Fu in quell’istante che si affacciò sull’uscio Adalgisa… e lo ammirò per un attimo senza fiatare. Igor era di spalle e sembrava accarezzare quel legno quasi fosse un corpo umano, perché il suo tocco era dolce, quasi a lenire i contorni delle nervature già scolpite dal vento e bruciate dal sole. Quando d’improvviso strappò la corteccia dal tronco con forza, Igor bofochiò qualcosa, del tipo – Il danno! – che Adalgisa accennò un’inconsapevole smorfia di dolore sul viso.

Adalgisa ammirò la stanza semplice e ricca di sculture dalle quali si distingueva un bel Gufo Reale con ali spiegate.

Sembrava una stanza di un tempo passato con intarsi di storia e ceppi sospesi. Quanto era bella. Sul lato destro, una finistrella si affacciava su un panorama mozzafiato e a strapiombo. Igor aveva l’ultima casa del paese costruita sulla roccia. Fuori l’aria era limpida, eppur sembrava nevicasse in aprile, perché volavano nel cielo, sospinti dal vento, migliaia di baci del Signore, Denti di Leone, quasi a disegnar su un foglio blu piume bianche al cospetto di una luce radente e soffusa. Senza girarsi di spalle, Igor sussurrò – Ciao Adalgisa! – aggiungendo – E’ giunto il momento! – Adalgisa ebbe un tonfo al cuore e la finestra sbatté l’anta al muro sospinta da un leggero soffio di vento – Riposa in ognuno di noi un danno! – continuò Igor – E’ nascosto nella parte più oscura che la mano del ricordo non riesce a ghermire, sicché, sta nelle profondità delle nostre esistenze e canta nenie tutte le notti, e disegna righe nere su arcobaleni colorati – Adalgisa stava ad ascoltare senza accorgersi che il suo corpo era ormai diventato un pezzo di legno, mentre vide un Dente di Leone entrare nella stanza dalla finestra, infilzato da un raggio di sole.

Fu allora che accadde qualcosa di straordinario.

Mentre Igor parlava, Adalgisa vide la scena del danno proiettata in quel fiocco di leone in una giornata d’aprile. La vide nitida, chiara, come mai prima d’ora. Il padre le era seduto al fianco in un pomeriggio d’estate. L’aria era calda. Le si avvicinò in prossimità, quasi a sfiorarle il palmo della mano con la sua. La guardò negli occhi e disse – Io e la mamma ci lasciamo! – Igor emise un grido soffocato e un sussulto per essersi tagliato con la lama del coltello più affilata, poi mise il dito in bocca per succhiarsi il sangue, e stette in silenzio.  Adalgisa guardava il muro e disegnava con gli occhi la campana che tracciava da bambina col gesso sull’asfalto per giocare con le amiche, forse per salutare la sua infanzia che sarebbe andata definitivamente via. – Cosa stai scolpendo? – chiese Adalgisa – Un bel fanciullo che tiene in mano un fiore! – rispose – e lo chiamerò: Rinascita!…In ognuno di noi riposa una vita spezzata! – poi prese in mano il Dente di Leone  che si era nel frattempo adagiato sul tavolo, quasi l’aspettasse, e lo mostrò – Guarda ancora qui dentro, non aver paura! – disse. Adalgisa si morse il labbro. Chiuse gli occhi.

Iniziò a vedere i volti dei suoi genitori e sentire le urla e le grida di giornate trascorse nell’afa di una monotonia senza colore. Vedeva il bicchiere del whisky sul tavolo vuoto e la madre chiudersi in bagno, e ne sentiva i lamenti sul corpo. Vedeva i vetri appannati del bagno resi opachi dalle lacrime amare di una vita non desiderata.

Vide anche il pugno del padre che sbattè sul mobile del corridoio e sentì l’imprecare di un grido di dolore.

Sentì il rumore delle forchette e dei coltelli che sbattevano sulla ceramica fredda dei piatti caldi che non emanavano fumo. Vide la colpa infliggersi nel petto, come quel raggio di sole trafiggere il Dente di Leone, quasi a sentirsi colpevole di essere nata e di aver succhiato amore piuttosto che latte. Vide nitido il sogno ricorrente di un suo abbraccio al calorifero freddo. Sentì la madre sussurrare al telefono e ridere di cuore, come non aveva mai fatto prima, come non aveva mai fatto con il padre. Vide i fili dell’intreccio come una ragnatela. Era la trama della sua infanzia. Il danno si era nascosto lì per tanto tempo, nelle stanze inferiori del non ricordo, eppur, era stato sempre vivo e vegeto come l’inverno in gennaio e avrebbe sputato freddo anche in estate. – Adalgisa! capisci ora perché senti freddo a ferragosto?

Prendi i tuoi ricordi, aprili, come fosse una scatola di cioccolatini, scartali, ed ora assaporali, ne troverai qualcuno amaro e qualcuno troppo dolce… qualcuno acido, ed ora, perché tu possa riassaporare la vita, guarda in faccia la Colpa! scrutala, per quanto qualcuno ti abbia aiutato a costruirla, sciogli la mescola di quella roccia che sotterra la tua scatola di cioccolatini. Raccogli quelle immagini e giocaci come fosse un film da rigirare, dai nuova luce, nuovi suoni, distanzia le immagini, usa nuovi filtri, concediti altri piani, in quell’epoca hai solo vissuto un flusso di vita e tu non potevi firmar nulla, e scoprirai altre verità e forse nuove luci.

La vita è fatta di episodi e sarai tu a confezionarli nella tua carta regalo. Guarda questa scultura! Lo vedi che fiore è? Cosa prende questo bimbo? Un Dente di Leone e poi vi soffia sopra, sembra soffi sopra il suo senso di Colpa. Non importa se la tua vita si sia spezzata. Sappi che la tua vita… è e sarà… la tua vita! Sappi tu tessere tela e ricostruire fili e nuove trame, come se tenessi il filo di un aquilone per mano. Affidati al tempo, e sappi viverlo al presente, perché il tuo passato non sopravanzi il tuo cammino.

Molla il passato, quella era un’epoca in cui non firmavi i tuoi disegni.

Prendi questa penna di piuma di Gufo e scrivi qualcosa di tuo pugno sul petto del bambino – Adalgisa   lo fece senza fiatare e scrisse – Perdono a me, perdono al mio respiro, perdono alla mia anima per averla così tanto dannata, perdono per averla fatta camminare sulla strada accanto la mia, perdono per averla abbeverata ad una fonte arida e desolata e non averla cresciuta nella gioia, perdono per non averla fatta danzare nel giardino dei  desideri, perdono per non averle fatto suonare il piano che tanto amava. Perdono anima mia! Non permetterò più a me stessa di sciupare il regalo più grande che mi è stato donato –  Igor, d’un tratto, interruppe l’incanto sussurrando – Non ricordo se mai ti ho detto che:

Non è mai troppo tardi vivere un’infanzia felice! – …e la finestra si spalancò. Entrò un soffio di vento che il Dente di Leone riprese a volare per la stanza. Igor e Adalgisa lo guardarono con il sorriso sulle labbra. – Grazie ancora Igor – fece Adalgisa – Sai… ho pensato tanto, e nella notte mi è sovvenuta la soluzione del tuo Rebus. Ricordo che mi dicesti che ogni uomo per creare la sue Identità ha il suo Rebus da risolvere. Igor il tuo nome vuol dire: Sveglio! e tu risvegli le anime e le coscienze – poi rise facendo spallucce. Fuori incominciava a calare la sera. La scultura era quasi finita.

Adalgisa si affacciò alla finestra. Vide tanti aquiloni che volavano nel cielo. Le scese una lacrima. Pensò al padre e alla madre e a quanto li aveva giudicati e condannati e pensò agli abbracci calorosi ricevuti che non aveva mai visto e sempre celato.

Capì che la storia dei suoi genitori era loro e che la sua Storia la doveva scrivere nel cielo oltre le nuvole dove l’arcobaleno posa i suoi colori. Decise di non giudicare più una storia ma di leggerla voltando pagina dopo pagina.

Igor si alzò, le si avvicinò. Guardarono insieme dalla finestra. La cosa sorprendente fu che… per un istante, il bambino scolpito nel legno non teneva più in mano il Dente di Leone ma un aquilone, e l’aquilone sembrava volare e portare via con sé una scatola di cioccolatini. Non credo che entrambi si accorsero.

Sentivano solo la musica del vento che fischiava e accarezzava le colline.

Sai dove posano gli aquiloni? – chiese Igor – No! – rispose Adalgisa – Segui i fili! fece Igor – e poi risero come due cuori che si accordano sullo stesso suono. Adalgisa s’incamminò verso casa con un passo leggero.

Nel pugno teneva ben stretto il Dente di Leone. In un posto solitario, dove credeva osassero le anime, assunse una posizione da bambina, protese il braccio verso l’alto e un baluginìo illuminò il Dente di Leone. Fu la prima volta che Adalgisa vide se stessa avvolta in un batuffolo di un bianco puro e si scorse piccola che rideva… vi soffiò sopra e il Dente di Leone volò via sospinto dal vento. Proseguì sulla via, e appena si voltò, vide un aquilone volare nel cielo senza filo disegnare un punto giallo nel disco rosso del tramonto, e le venne in mente un pensiero – Ci sono uomini che si disegnano come fili, altri come uomini che tengono gli aquiloni dal filo e altri ancora che si disegnano come aquiloni senza fili che volano nel cielo – quando ebbe la sensazione di assaporare e gustare dei cioccolatini…. proprio quelli che gli furono regalati ad un suo compleanno dai suoi genitori.

*Medico Psichiatra psicoterapeuta