Amelio in Calabria, Furriolo: “Caro Gianni ricordi quante discussioni tra di noi sul complesso rapporto tra intellettuali e la politica?”

"Regista di grandissima professionalità e raffinata cultura che si esprime con un linguaggio cinematografico internazionale"

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di Marcello Furriolo

In questi giorni è in Calabria il grande regista di Magisano di Catanzaro Gianni Amelio per presentare il suo bel film “Campo di battaglia”, che a Venezia ha avuto oltre 7 minuti di scroscianti e meritati applausi. Il film racconta, con rigore di stile e di immagini una pagina tra le più dure e strazianti della Grande Guerra. Con migliaia di giovani italiani mandati a morire al fronte, impreparati, male equipaggiati, peggio comandati e mette in evidenza la “guerra privata” di chi, un giovane ufficiale medico, bene interpretato da Alessandro Borghi, aiuta molti spauriti soldati a tentare di farsi esonerare dall’invio al fronte e quindi al macello di una guerra di cui non capiscono il senso, attraverso l’autolesionismo, la menomazione volontaria del corpo e la provocazione di malattie.

Un fenomeno molto diffuso durante il sanguinario conflitto mondiale descritto e documentato con drammatica precisione.

Gianni è regista di grandissima professionalità e raffinata cultura che si esprime con un linguaggio cinematografico internazionale. L’altra sera nell’incontro al Cinema Comunale di Catanzaro, malgrado sia stato trascinato dalle domande del pubblico a parlare della Calabria e della “sua” Catanzaro, era evidente che quel giovane e brillante “compagno”, col quale abbiamo sognato la rivoluzione culturale negli anni 60, con “Il Manifesto” e “I martedì del Supercinema”, è divenuto un grande intellettuale globale, che intrattiene rapporti amichevoli con Pedro Almodovar e che ormai non ha più bisogno di inseguire i riconoscimenti delle giurie veneziane, avendo già vinto un Leone d’Oro. Nè tanto meno delle becere lusinghe del coro degli aedi del nulla. Gianni della Calabria e della città di Catanzaro ricorda i sogni svaniti tra le stelle che apparivano sul tetto apribile del vecchio cinema Politeama.

Vagamente richiama l’esperienza eroica delle proiezioni visionarie di film impegnati e di nicchia, quando lo “inviavamo” a Cosenza, insieme a Nicola Ventura, a recuperare la pizza di “Banditi a Orgosolo”. Ricorderà sicuramente il gruppo di “compagni” che si ritrovavano intorno al “Circolo Gobetti”, Mario Alcaro, Lino Iannuzzi, Amelia e Franca Paparazzo, Franco Santopolo, Nuccio Marullo, Franco Pristerà, Mimmo Raffaele, Carlo Scalfaro. Ci si riuniva spesso nei locali della sezione Gramsci a Piazza Roma. Quello era il Partito Comunista di Giovanni Di Stefano, Pasquale Poerio, Gigino Silipo, Franco Politano, Sarino Maida, Umberto Martino, troppo presto dimenticato e compagno straordinario di Aldina Stinchi, parente di Aldo Moro, splendida e inafferrabile immagine fuori del tempo, prototipo disinibito della liberazione della donna, che con emozione abbiamo riabbracciato l’altra sera al Comunale. Una città e una Calabria sicuramente cambiate e magari non in meglio, mentre quelli come lui, meritoriamente conquistavano il successo e la gloria lontano da qui, a Cinecittà, a Milano o a Hollywood.

E’ perciò complicato, pur non credendo alla retorica della “restanza”, chiedere il conto a chi è rimasto dello scarso amore per questa città. Anche quando si parla del vecchio Politeama, con grande sofferenza sacrificato, perché irrecuperabile, per il nuovo grande Teatro di Paolo Portoghesi nei primi anni novanta. Mentre l’amore incompiuto di Amelio nei confronti di questa città matura sin dai primi anni 60. Nè vorrai credere, caro Gianni, alla favoletta dell’immediato recupero del mitico Cinema Masciari, abbandonato ad un incognito destino.

Forse allora si capisce perché diventa sempre più difficile sconfiggere il pregiudizio che continua a segnare ingenerosamente il Sud e la Calabria nella cultura e nella narrazione dei media nazionali. Certamente molto è dipeso dagli stessi calabresi che hanno assecondato il loro destino, vinti dalla lotta per la sopravvivenza contro la natura bella e violenta e contro i grandi detentori della ricchezza, del potere terreno e di quello religioso. Ma anche per il trasformismo degli intellettuali, che hanno ceduto alla suggestione del potere del mondo borghese e abbandonato la trincea del riscatto e della verità.

In una Calabria che non riesce a costruire una diversa narrazione della sua identità, forse potrebbe non tornare estemporanea o nostalgica la lettura di qualche pagina di Antonio Gramsci che, proprio sul ruolo degli intellettuali meridionali nell’impegno per il riscatto sociale e civile del Sud, definiva Benedetto Croce e Giustino Fortunato “i reazionari più operosi della penisola” in quanto, in particolare il padre della “Critica”, “ha distaccato gli intellettuali radicali del Mezzogiorno dalle masse contadine, facendoli partecipare alla cultura nazionale ed europea, e attraverso questa cultura li ha fatti assorbire dalla borghesia nazionale e quindi dal blocco agrario”. Caro Gianni ricordi quante discussioni tra di noi sul complesso rapporto tra intellettuali e la politica?

Per fortuna oggi, a distanza di circa un secolo da quando Gramsci scriveva queste cose, non esiste il “mostruoso blocco agrario” che tiene fermo il Mezzogiorno, né è immaginabile un “blocco intellettuale” attribuito dall’ideologo comunista a Croce, ma è evidente che il rinnovamento della società esige che gli intellettuali meridionali raccontino una Calabria vera, non letteraria o cinematografica.

Allora non ci resta che aspettare con grande amore e interesse il tuo prossimo film che girerai “da queste parti”, caro Gianni.

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