“Ci possiamo permettere il pesce solo se mio padre va a pescare. Ma è vietato”

Pubblichiamo la lettera-storia di una ragazza di Calabria

Mi chiamo Veronica e questa è solo la forma scritta dei miei pensieri. Sono una ragazza della provincia di Vibo Valentia, una studentessa come tante altre. Vivo con mio padre, un uomo molto semplice e dedito al lavoro. Siamo persone semplici, umili e rispettose delle regole.

Da quando è scoppiata questa crisi sanitaria qualcosa è cambiato, come per tutti. Viviamo in una zona di campagna, piuttosto isolati dal centro abitato, perciò quello che più ci spaventa non è questo virus, ma la mancanza di soldi, di cibo, di certezze. Ma sopratutto la mancanza di lavoro. Non siamo mai stati una famiglia benestante. Tanti sacrifici, tante rinunce ma anche tanta forza di volontà. Mio padre, grande amante del mare, ha sempre avuto una grande passione per la pesca…e devo dire che è anche piuttosto bravo. Grazie al suo talento ed a pochi e semplici mezzi è sempre stato in grado di procurarsi pesce fresco direttamente dal mare, perchè non ci possiamo permettere di comprarlo in pescheria, come non ci possiamo permettere tante altre cose.

Da quando è scoppiata questa crisi, è cambiato anche questo. Durante i mesi di lockdown mio padre ha rispettato le regole, non è andato a pescare. Sacrificio piuttosto grande il suo. Ma ha rispettato la legge per il bene di tutti.
Oggi è il giorno della riapertura, il giorno atteso da tantissime persone per riprendersi quel pezzetto di libertà che aiuta le persone ad andare avanti. Ma non per mio padre. Le autorità, le forze dell’ordine, la capitaneria di porto, tutti gli hanno risposto NO: la pesca è ancora vietata.

Vietato prendere l’auto per andare a sedersi su una roccia da soli, attaccare la speranza di una bella cena ad un amo e buttarlo in acqua. Questa regione pensa ai cittadini? Si, ma solo a quelli che vogliono mettersi in forma per la prova costume o a chi, nel pieno di una crisi sanitaria mondiale, si può permettere di spendere soldi al bar.