Bertucci: voci confortanti sul dopo chiusura

Sarebbe assicurata dalla proprietà la piena occupazione dei dipendenti e il rispetto del decoro commerciale dei locali. Le discrete interlocuzioni con l’Amministrazione comunale

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“Liquidazione totale per chiusura attività”. Il lungo avviso steso a caratteri cubitali da un paio di settimane sulla vetrina dei magazzini Bertucci di Corso Mazzini ha sancito irrevocabilmente quanto i catanzaresi ormai sapevano da diversi mesi, anche grazie alle anticipazioni fornite da questo giornale.

Da allora sono state molte le prese di posizione e le riflessioni che ne sono scaturite, di diverso approccio, ma sostanzialmente oscillanti tra il pessimismo cronico per le catastrofiche e regressive sorti per Catanzaro e la nostalgia per il bel tempo che fu.

L’altra sera durante un dibattito organizzato dall’Umg al San Giovanni sulla cultura come fattore di sviluppo del territorio, il notaio Rocco Guglielmo ha profetizzato che dopo la chiusura di Bertucci le strade principali di Tirolo e di San Pietro Apostolo non avranno nulla da invidiare al corso Mazzini di Catanzaro. Molti in platea hanno annuito, qualcuno in cuor suo si è augurato che la visione apocalittica del già direttore artistico del Marca (“già“ di molte altre cose ha lui stesso celiato dopo la lunga elencazione gentilmente offerta da chi moderava l’incontro) vada correttamente ascritta sotto la figura retorica dell’iperbole. Ma oggettivamente la fotografia commerciale del Corso offre spunti scoraggianti. Quando la realtà è cruda, è umano esercizio consolatorio riandare con la mente ai tempi che furono, e vedere tutto sotto la lente ristoratrice della nostalgia. Ritornare per esempio a quel 1968, o forse 1969, nel quale Bertucci sbarcava a Catanzaro, preceduto dalla fama della vicina Nicastro, in contemporanea, per dire i tempi, con lo sbarco lunare dell’Apollo 11. Fu il primo atto di grande concorrenza a Catanzaro, perché fino ad allora di grande magazzino c’era solo l’Upim e da qualche anno, un po’ decentrata a piazza Matteotti, la Standa. Bertucci portò un po’ di glamour al palazzone sorto sulle macerie di palazzo Susanna, fino ad allora frequentato più che altro perché sede degli uffici delle Imposte, dirette e indirette, dove i cittadini catanzaresi e della provincia andavano a risolvere i loro guai fiscali e, dal 1973, a ritirare il fatidico e alfanumerico codice fiscale, una delle poche cose per le quali si può dire siano per la vita.

C’è, tra gli attuali lavoratori di Bertucci Catanzaro chi ci lavora dall’apertura o pressoché. E ancora ricorda la subitanea ascesa nella reputazione commerciale che arrise all’insegna, soprattutto nel settore moda con l’assortimento di media alta fascia, femminile e maschile. Quando chiuderà, non si sa esattamente quando ma non molto al di là del tempo, se ne andrà l’ultimo dei negozi di moda nei quali si poteva fare affidamento, sicuri di trovare la stessa eleganza dei migliori negozi italiani, fossero a Roma o a Milano. Per vestiti e scarpe si veniva a Catanzaro da tutta la provincia e da tutta la regione. Poi, è iniziato il lento declino, i cui tempi sono stati dettati dalla restrizione anagrafica, figlia non unica dello smembramento della vecchia provincia, dal decentramento burocratico, dall’apertura dei grossi centri commerciali a pochi minuti di macchina verso un mare e l’altro. È andata diminuendo la densità abitativa del centro, e in qualche modo la sua stratificazione sociale.

 

E, mentre tutti gli altri parametri di riferimento andavano a diminuire, l’unica cosa a crescere sono stati i fitti dei vani commerciali sul Corso, tanto che c’è chiedersi ogniqualvolta ne apre uno nuovo quanto potrà durare, considerando proprio l’incidenza dell’uscita base e ineludibile del locale di esercizio.

Quest’ultima considerazione non vale per Bertucci, poiché i tre piani in cui si sviluppano i magazzini sono di proprietà della famiglia. La proprietà, c’è da dire, sta agendo con assoluta discrezione. Non risulta un pronunciamento pubblico sulla vicenda e chi scrive deve confessare di avere tentato inutilmente di mettersi in diretto contatto telefonico. La discrezione è arrivata al punto che neppure gli undici dipendenti attualmente impiegati nella sede catanzarese sanno nulla della loro sorte. Anche dopo che lo striscione della “grande liquidazione” è stato affisso in vetrina. E, con l’incertezza, nei dipendenti è andata crescendo la preoccupazione. Anche sul fronte sindacale bocche cucite. Sembrava al cronista però strano che da Palazzo De Nobili non si muovesse foglia, non solo per il fatto in sé, quanto per la nutrita salve di interrogativi suscitati nell’opinione pubblica e non corrisposti da nessuna reazione ufficiale. E, in effetti, c’è qualche novità. O sembrerebbe esserci. Perché, anche adesso, nessuna ufficialità. Solo un sufficiente margine di credibilità a quanto si è riusciti ad apprendere.

 

Numerosi colloqui sarebbero intercorsi tra Amministrazione e proprietà. Rassicuranti per i lavoratori e non solo per loro. Sul fronte occupazionale, la proprietà Bertucci avrebbe assicurato che nessun posto di lavoro andrà perso, e gli undici lavoratori attualmente occupati conserveranno la loro dipendenza dal gruppo. E, a volere smentire voci contrastanti, sempre la proprietà avrebbe assicurato che sono in avanzato stato le trattative con primarie aziende commerciali di spessore nazionale per l’utilizzo dei vasti locali una volta che la chiusura della filiale catanzarese sarà effettiva. Un sollievo per chi, operatori economici in prima linea, temono che a sostituire un’insegna storica sia un’azienda di non pari portata in termini di prestigio e decoro commerciale.

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