“Scuole dimenticate”, la “Mazzini” fotogallery

Inauguriamo oggi una nuova sezione del nostro giornale dedicata agli speciali. Cominciamo dalla "Mazzini", da scuola d'eccellenza a ricettacolo di rifiuti. E si allungano i tempi per il suo recupero

di Raffaele Nisticò

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Il Paese era molto giovane, i piccoli studenti con fiocchetto erano la sua ripresa, l’azzurro cangiante dei grembiuli dimostrava evidente che l’ottimismo guidava i passi e apriva i cuori a un futuro migliore. Ovunque in Italia a metà dei Sessanta, anche a Catanzaro e anche nel quartiere Maddalena, dove i baby boomers ogni mattina vociavano in attesa della campanella davanti alle due scuole distanti un centinaio di metri, l’elementare Maddalena e la media Mazzini. Davanti a questa, a guardare bene, la piccola folla era divisa in due, solcata da una linea di confine invisibile ma che sarebbe rimasta invalicabile ancora per molti anni a venire: da un ingresso più laterale, dalla parte della Filanda, entravano i maschi mentre dall’ingresso principale, dalla parte della Stella, accedevano le femmine.

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Era così la Mazzini degli anni Sessanta, guidata dall’inflessibile preside Scopelliti, un reggino brevilineo, riccioluto e canuto, dagli occhi cerulei e dal piccolo tic sul labbro inferiore che misteriosamente ne incrementava l’autorità: indossava quasi sempre le sneakers bianche e governava la scuola in modo che a tutti sembrava un meccanismo ordinato, compiuto, puntuale. Ricordo personale, doveva essere il 1965: il primo impatto corale, finanche coreografico. Nel grande cortile alberato e odoroso di gelsomino e rosa, con al centro la fontana in granito che gorgogliava sulla vasca rotonda, l’incaricata dal preside declamava a voce alta nomi e cognomi dei nuovi arrivati, gli iscritti al primo anno, e li indirizzava nelle diverse sezioni: prima A, prima B, prima C. Quell’anno, se i ricordi non fallano, si arrivò alla prima H. Otto sezioni che moltiplicate per i tre anni del corso fanno 24 numerose classi distribuite sui tre piani del grande edificio con pianta a U, dai muri gialli e dalle grandi vetrate, con alberi su tutti i lati, un fruttifero agrumeto nella parte posteriore che affacciava luminosa sui bastioni ad arco di via Carlo V. A vederla, e a sentire risuonare i passi negli ampi corridoi, a seguire l’arrembante tambureggiare degli alunni su e giù per le rampe delle scale interne, la si sarebbe detta la più sicura, accogliente, immaginabile delle scuole.

Classe 92-93

La chiusura nel 2011. I lavori di ristrutturazione mai conclusi

Così non doveva essere, perché nel 2011, in tempi molto ravvicinati, quasi improvvisi, la scuola fu dichiarata inagibile dal Comune, allora retto da Michele Traversa, e ne fu interdetto l’accesso per le attività scolastiche. Così non doveva essere, forse. Il più titolato a nutrire qualche dubbio sulla necessità di chiudere la scuola fu qualche anno dopo, 2016, il sindaco Sergio Abramo, nelle dichiarazioni date in occasione della consegna dei lavori di rifacimento che si prevedevano, inopinatamente, rapidi e definitivi.

La storia è complicata, ma cercheremo di semplificarla, chiedendo anticipatamente venia agli addetti ai lavori per alcune inevitabili inesattezze nei termini tecnici nella parte di burocrazia scolastica notoriamente tra le più complicate. Sull’onda del turbamento conseguente al terremoto dell’Aquila del 2009, che mise a nudo la fragilità di molte strutture pubbliche, in tutto il Pese si procedette a una stringente ricognizione della stabilità degli edifici scolastici. A dicembre del 2011, approfittando delle imminenti vacanze natalizie, la giunta comunale guidata da Traversa ordina la chiusura delle scuole Mazzini e Maddalena.

Gli alunni del comprensivo vengono distribuiti – temporaneamente, assicurano le autorità – tra l’Istituto Rossi di proprietà comunale, il palazzo Petrucci a piazza Matteotti, eterna camera di compensazione delle emergenze scolastiche, e il convitto Galluppi su Corso Mazzini. C’è un bando emanato dalla Regione che concede finanziamenti per l’adeguamento sismico, il Comune partecipa con un progetto, innovativo dal punto di vista tecnico, ma che non viene inserito nella graduatoria definitiva per alcune valutazioni che lo penalizzano, attinenti per un lato alla quota di finanziamento autonomo ritenuta troppo bassa e dall’altro a criteri propri del bando regionale che privilegiavano interventi meno impegnativi e maggiormente distribuiti sul territorio.

Bisognerà attendere il 2014 per ascoltare da Abramo, al suo terzo mandato, notizie positive sul finanziamento, derivante da fondi del Programma azione e coesione (Pac) che sui sei milioni complessivi per opere in centro, ne destina quasi tre per la Mazzini. Su questi fondi, sulla loro disponibilità effettiva, sulla tempistica preventivata e disattesa, la polemica si fa aspra. Fatto sta che alla fine i fondi arrivano, ma saranno quelli della “Buona scuola“ di renziana memoria, per cui solo a dicembre 2015 arriva l’assenso del Mibac in base al quale il Comune può procedere alla definizione del progetto prima definitivo e poi esecutivo e consegnare i lavori a maggio 2016 con una cerimonia pubblica all’antica, presenti studenti genitori e corpo insegnante, che è quello del comprensivo Catanzaro Est. L’edificio, secondo il progetto approvato, è sempre composto da un unico corpo di fabbrica articolato in pianta con forma di U, con una superficie complessiva di circa 484 mq per il piano palestra e di circa 397 mq per il piano adibito ad aula magna.

Il progetto, redatto dagli ingegneri Trimboli e Grandinetti e dall’architetto Iannoni, sarà eseguito dalla ditta aggiudicataria dell’appalto, la “Migifra Costruzioni srl” con sede legale a Roma e operativa a Sulmona. I lavori effettivamente iniziano nello stesso mese, fine prevista per marzo 2017. Non finiranno più, come è facilmente constatabile passando davanti allo scheletro sbrindellato in cui la struttura è oggi ridotta. A settembre 2017 i lavori si fermano definitivamente, per via della mancata certificazione dei materiali di esecuzione necessaria all’assenso da parte del Genio civile regionale. Si aprirà un contenzioso con la ditta appaltatrice, ma questo è un altro discorso. Più interessante ai nostri fini è seguire il destino delle classi. Dove sono ora i piccoli studenti della Mazzini? Intanto, non nell’ex Istituto Rossi, anch’esso bisognoso di prove di collaudo statico e sul quale pure, per un periodo, l’Amministrazione spera di concentrare nuovamente in un unico edificio la scuola media Mazzini. A complicare le cose, il piano di dimensionamento scolastico operato dalle Province in concorso con i Comuni.

Nel piano della Provincia di Catanzaro approvato il 30 novembre 2017, alla voce Comune di Catanzaro è scritto: “costituzione del Polo didattico Convitto Galluppi/Centro storico, mediante l’annessione al Convitto nazionale Galluppi delle scuole dell’infanzia Fontanavecchia, Carbone e Piano Casa; le primarie Maddalena e Piano Casa e la scuola media Mazzini”.

Non c’è il codice meccanografico: la “Mazzini” non esiste

Ma c’è una postilla: “per quanto riguarda la scuola Mazzini, la Provincia, dopo una verifica effettuata, ha stabilito che questa non esiste ma è coincidente con la scuola media chiamata Catanzaro Siano dell’IC Catanzaro est”. “La Mazzini non esiste”. Nel freddo linguaggio burocratico è sancita una verità impietosa ma necessaria, nonostante una sacca di resistenza didattica ancora voglia mantenerne vivo un nome, attraverso quella denominazione applicata a un corso di studi secondari inferiori, afferenti all’IC Catanzaro Est, allocati nel palazzo arcivescovile in contiguità con il liceo parificato “Cardinale Sirleto”.

Un accordo tra Comune, IC CZ Est e curia consente l’apertura di una scuola media Mazzini, con una sola sezione. Come tale, a perenne rischio di estinzione, bastando infatti la non costituzione di una prima classe per deficit di iscrizioni per decretarne l’esaurimento. Nella realtà della Scuola media Mazzini non c’è neanche il codice meccanografico: per le scuole è come il codice fiscale per i cittadini: se non ce l’hai non sei nessuno, e non ti puoi neppure curare. E allora? Cosa è questo affannarsi intorno a ciò che resta del vecchio edificio, considerato che di “Scuola media Mazzini” ne parlano specificamente due testi importanti del Comune.

Il futuro con “Agenda Urbana” ma il progetto non è chiaro

A marzo 2018 Abramo, al suo quarto mandato, e il dirigente consulente Tonino De Marco presentano il documento “Agenda Urbana”, un programma di interventi con fondi europei che, nel complesso dei 32 milioni assegnati alla città, prevede l’individuazione e il finanziamento in centro storico della Casa dello Studente (con utilizzo dell’ex Scuola Media Chimirri); il progetto di finalizzazione dell’ex Scuola Elementare Maddalena ad uso di edilizia residenziale da destinare alle Forze Armate; e misure per il potenziamento del sistema urbano di istruzione e formazione, con la riqualificazione della scuola media Mazzini.

Ancora, il 7 agosto 2020 Cassa Depositi e Prestiti e Comune di Catanzaro firmano un protocollo d’intesa in forza del quale CDP fornisce supporto tecnico-amministrativo alla realizzazione di iniziative strategiche per la città tra le quali l’adeguamento sismico della scuola media Mazzini. Abramo ha anticipato che il nuovo progetto prevede la ricostruzione della sola parte finale del vecchio edificio, che perderà la consueta pianta a U, conservando la parte lineare parallela alla sottostante via Carlo V. Tutta la parte anteriore sarà rasa al suolo e adibita a parcheggio, rispondendo in tal modo a un bisogno sentito dai residenti attuali e dai nuovi arrivati, i musicisti e i docenti che gravitano intorno al Conservatorio Tchaikovsky. Rimane in ogni caso da capire cosa sarà allocato nella residua parte, considerato che i fondi a disposizione sono vincolati all’uso scolastico. In questo senso si arenano oppure si restringono diversi progetti che ruotavano più o meno verosimiglianti intorno alla vecchia Mazzini.

Nella visione dell’auspicata apertura di nuove facoltà universitarie in centro storico, l’ipotesi più gettonata prevedeva lo spostamento del Convitto-polo didattico Galluppi alla Mazzini per fare posto ai corsi di laurea in materie umanistiche. Ma, qualora si dovesse procedere al dimezzamento della metratura dell’edificio, l’offerta non sarebbe più appetibile per una realtà quale il Polo didattico attestato ormai costantemente su una popolazione scolastica forte di 700 presenze e con l’offerta convittuale da garantire (residenza, mense, guardaroba, ecc.). Tutto rimane come avvolto nei fumogeni di scena. Qualcosa si muove sul fondo ma lo spettatore non riesce a distinguere agevolmente. Questa metafora da palcoscenico induce a pensare che, in ogni caso, niente riuscirà a compensare il vuoto, più immateriale che fisico, che la sfratto forzato di un’intera popolazione studentesca ha causato in tre quartieri limitrofi, Stella, Maddalena e Carbone, se non più, considerate le propaggini a sud che coinvolgono altri plessi scolastici colpiti dalla stessa sorte, la Chimirri tra Porta di Mare e Fondachello, la scuola di Stratò, quella di Piano Casa. Non c’erano solo, ovviamente le attività didattiche, limitate più che altro alle ore antimeridiane.

Una scuola oltre la scuola

Funzionava alla Mazzini una grande palestra provvista di attrezzi e di canestri con annesso spogliatoio e bagno che veniva sfruttata da molte associazioni sportive dilettantistiche. C’era, come abbiamo già accennato, un teatro con palcoscenico, quinte e velluto dove per molti anni l’attore Lillo Zingaropoli imbastiva commedie con la sua piccola ma valorosa scuola-teatro. C’erano uno o due pianoforti perché l’insegnamento della musica e delle materie artistiche era un punto di soddisfazione in quella scuola. C’era una ricchissima biblioteca con testi di alto valore, sono pronte a testimoniarlo molte persone che li hanno avuti in mano, sfogliati, letti. Tra questi l’archeologo Tommaso Scerbo, l’autore di ‘Katanzarion – Le origini medievali’ edito daTitani, scopritore dei resti di un antico insediamento tra tardo romano e alto medievo proprio nelle fondamenta della Mazzini messe a nudo dallo scavo interrotto della ristrutturazione.

In “Calabria positiva” di Saverio Ciccarelli, edito nel 2010 da Melograna editore, è riportato che “tra il XIV e il XVII secolo Catanzaro divenne famosa per la lavorazione della seta. All’interno della scuola media ‘G.Mazzini’ è stato allestito un piccolo museo che documenta l’attività tessile, attraverso l’esposizione di telai, pettini, spolinatrici, aspi e pannelli descrittivi delle varie fasi della lavorazione della seta. Vi è altresì una macchina bucatrice che riproduce su cartone i disegni che poi anticamente erano trasferiti sul damasco. Il Museo conserva anche lettere commerciali e documenti, che testimoniano anche la vivace attività economica della città”.

Tommaso Scerbo

Arredi e materiali sono custoditi?

Ecco, c’è una domanda da porsi: dove è andato a finire tutto il materiale accumulato nel corso dei decenni nella scuola Mazzini? Non solo gli arredi, ovviamente, ma gli archivi, i libri, gli strumenti musicali, i laboratori di fisica, chimica, di applicazioni tecniche? Nessuno lo sa. Sentiamo Tommaso Scerbo, che è stato allievo della scuola sul finire dei Novanta: “A un certo punto sono arrivati con un camion, e hanno iniziato a buttare tutto dentro come fosse materiale da riporto: libri, strumentazioni, tutto. Mi sono avvicinato, conoscendo quante belle cose c’erano in quella biblioteca. Erano siciliani, o reggini, lo ricordo perché mi hanno cacciato via in malo modo, sbraitando che sarebbe andato tutto in un deposito del Comune”. Se chiedete al Comune, nessuno sa niente.

Scerbo mostra la riproduzione della famosa mappa del Gattoleo del 1810, recuperata nell’Archivio nazionale di Napoli: dove adesso c’è lo scheletro della Mazzini, nella parte adiacente alla via Maddalena insisteva allora un palazzo di pianta rettangolare allungata, con tutta la parte posteriore fino al muro esterno cittadino – i bastioni di via Carlo V – occupata da orto. Praticamente l’opposto di quanto è nei piani comunali attuali, che conservano l’ala posteriore e spianano tutto quanto sta davanti, forse senza l’ombra di un albero. Ma vedremo, a Dio piacendo. Certo, viene il magone a pensare quanta vita passava ogni giorno da questa parte di città, che non si limitava solo alle ore scolastiche ma si trasferiva di rimbalzo su tutta la giornata del quartiere, con le piccole attività commerciali e artigianali disseminate qui e là nei bassi e che dalla chiusura in poi sono praticamente scomparse.

Una scuola media da 800 alunni. Dal 2000 il declino

Nel periodo di massimo incanto la media Mazzini contava dai 700 agli 800 iscritti e forse più. Fu costruita nell’immediato secondo dopoguerra. Gli ottantenni di oggi ricordano le fasi della costruzione, dicono che durante i lavori perirono nel cantiere due operai. Il trend si mantenne elevato e costante fino al 2000, al netto della decrescente curva demografica. Poi accadde qualcosa che portò alla contrazione quasi improvvisa degli iscritti, intorno alla metà del primo decennio. Ci furono polemiche e dissidi in seno al corpo docente, trasferiti sulla stampa e amplificati da dicerie di quartiere. Ma da quel punto di crisi la scuola media Mazzini, si era ripresa brillantemente, grazie all’apporto della dirigenza e del corpo docente che era stato sempre, tradizionalmente, di riconosciuto livello e di manifesto spessore umano, attrezzato ad affrontare una scolaresca.

Verrebbe spontaneo a questo punto, al cronista, citare cognomi di insegnanti rimasti nel cuore e nella mente: i professori Coscia, Barbieri, Procopio, Zaccaro, Vono, Vacca, don Capicotto con le sue Edelweiss senza filtro sbuffate inconsapevolmente tra un precetto di catechismo e una tirata d’orecchio (figurativa), e poi il terribile insegnate di applicazioni tecniche sul quale si tramandava la leggenda rimasta tale di essere pronto ad appendere sull’attaccapanni per il colletto del grembiule i più discoli tra gli alunni. Era così, la scuola, una volta. Meno fronzoli, forse meno regole, tutto più diretto. Per esempio, non c’era un orario o una giornata dedicata al ricevimento dei genitori che, quando potevano e volevano, arrivavano direttamente in aula, a chiedere semplicemente: professoressa, come va mio figlio… Solitamente male, perché i bravi non necessitavano di ulteriori e soverchianti premure. Una mattina, nel bel mezzo della lezione di italiano, c’era l’insegnante Sacco, arriva la mamma di un mio compagno che, diciamo, non brillava per rendimento scolastico. Mentre parlottano brevemente, la prof chiede alla mamma:

“Per favore, signora… Devo andare urgentemente in segreteria a firmare una cosa… Me li può guardare un minuto soltanto, il tempo di andare e tornare?”.

La mamma, braccia da massaia vera, sconsolata e afflitta nel dovere apporre un rifiuto all’autorità, di rimando:

“No, professore’, non mi lassati a mmia, ca u primu chi fa chiassu u pigghiu e u sdomiu…”.


Per la cronaca, la prof andò in segreteria, la mamma rimase cinque minuti in aula, gli alunni, una trentina di pirati con fiocchetto blu al posto della bandana, osservarono il più rigoroso silenzio.

La testimonianza: “Gli allievi arrivavano da ogni parte della città”

di Laura Cimino

Rione Maddalena, il più antico della città. Anni ’70, ’80. Le strade assolate, le ‘rughe’, i cortili ariosi, pronti ad accogliere il vento dei colli. Rione Maddalena, la scuola Mazzini era il quartiere, il quartiere era la scuola. Ma più di tutto il quartiere era la casa. Una famiglia allargata. Si viveva dentro casa come si viveva nelle strade. Ogni funerale, ogni matrimonio, ogni nascita, nella ‘ruga’ erano un po’ di tutti. Dai balconi, per le vie si incrociavano sguardi e nascevano amori.

E la scuola era Mazzini era la ‘casa’ di ognuno, di generazioni cresciute tra quelle strade e molto di più. “Con otto sezioni, 24 classi e un prestigio, guadagnato sul campo da dirigenti, insegnanti e personale scolastico – era una scuola rinomatissima – racconta la signora Anna Tassone- gli allievi arrivavano da ogni parte della città e non solo.

Nella testimonianza raccolta dalla signora Anna, oggi collaboratrice scolastica al Convitto nazionale Galluppi, che in via Maddalena e c’è nata e nel quartiere si è anche sposata, sentiamo il termometro di una città altra, Catanzaro come tutte le città d’Italia in quegli anni. La rivediamo con il senso del ricordo, del passato.

‘Il quartiere era una famiglia allargata. Le scuole erano il fulcro di questo nostro vivere insieme – racconta ricordando ogni particolare la signora Tassone – La Maddalena per le elementari e la Mazzini per le medie, mi sembra di rivederla perfettamente questa grande struttura, se vado con la mente in dietro con gli anni.

Anna Tassone

Le sezioni della media andavano dalla A alla H. L’edificio era grandissimo, con ben 24 classi. C’era una palestra immensa, lo spogliatoio ed un’altra palestra più piccola, l’Aula magna davvero monumentale con le sedie di legno, un tavolo grande, come se adesso la rivedessi. Tre piani, il laboratorio scientifico e il giardino con la piscina con tanto di custode”.

“Con la successiva chiusura degli edifici scolastici che animavano rione Maddalena, tutto è cambiato, il quartiere è sembrato morire, perché finché c’è stata la scuola c’era vita, i ragazzi che andavano e venivano, i genitori, gli insegnanti, credo che se le scuole non fossero state chiuse questo quartiere del centro storico avrebbe vissuto molto di più”.

E quel quartiere, appunto, vedeva crescere tra i banchi e per strada i ragazzi ‘eravamo tutti amici, giocavamo per strada, con giochi ‘umili’ come la campana, la corda, il nascondino, e tra le famiglie c’era solidarietà, se qualcuno aveva bisogno ci si aiutava’.

Un quartiere nobile e popolare insieme. Un’altra città di un’Italia molto diversa. Ma oggi come allora l’istituzione scuola non aveva perso il suo forte valore di formazione ed identitario, nella vita delle persone e dei luoghi.

La “Mazzini” oggi, quel che resta

di Daniela Amatruda

Sulla carta la scuola media statale “G. Mazzini” non esiste più. Sulla carta, appunto. Ma la “Mazzini” c’è eccome. L’edificio, ormai fatiscente, si erge imponente tra le viuzze scoscese di uno dei quartieri più antichi del centro storico cittadino.
Gran parte della struttura è avvolta da teli ed impalcature utilizzati per lavori iniziati e mai ultimati. Un’altra incompiuta che giace inerme, asilo per topi e gatti, circondata da erba incolta e rifiuti di ogni genere.

Pericolo igienico-sanitario

I ricordi dei residenti legati alla scuola sono tanti. Ripensare agli anni d’oro fa riaffiorare sempre un sorriso sui volti di chi è nato e cresciuto in questo quartiere e che ha visto passare generazioni di giovani provenienti da tutta la città. Ma il sorriso viene subito smorzato da ciò che resta, “una struttura devastatadicono i cittadini – che fa male al cuore”; ma soprattutto da ciò che l’abbandono ha portato: sporcizia, fetore e colonie di topi e gatti. “Una situazione igienico-sanitaria al limite dell’accettazione” riferiscono i residenti ed in particolare coloro che vivono a ridosso dei cancelli della scuola. “Sono spesso costretto a chiudere le finestre di casa per l’odore sgradevole che proviene dalla scuola – afferma Antonio Brancati che abita di fronte all’edificio – e nei periodi estivi, con il caldo, la situazione peggiora perché l’odore diventa ancora più acre. Molte volte abbiamo chiesto al Comune di intervenire per pulire, ma invano”.

Antonio Brancati

La comunità racconta

A tracciare la storia del quartiere sono anche i piccoli esercenti della zona, presenti con le loro botteghe anche da cinquant’anni. Dopo la chiusura delle scuole, molte attività hanno chiuso o si sono trasferite, ma c’è chi resiste: c’è Carlo Passafaro con il Tabacchi del papà, c’è Corrado Leonardis che con il suo mini market, ora anche macelleria, è presente dal 1983. E poi c’è anche Pino Cantafio, che ha aperto il suo piccolo laboratorio di falegnameria nel 1971.

Carlo Passafaro, il tabaccaio

“Io sono uno di quei ragazzi che è nato e cresciuto in questo quartiere – racconta Carlo Passafaro, il tabaccaio del quartiereed ho frequentato sia la scuola elementare “Maddalena” che la scuola media “Mazzini”, di cui conservo dei bellissimi ricordi. Era una scuola piena di ragazzi e popolavano questo quartiere che è ormai completamente abbandonato. Spero si possa fare qualcosa per ripristinare questa struttura perché rappresenta anche un pericolo dal punto di vista igienico a causa della presenza di animali e rifiuti. Io vivo ancora qui e gestisco l’attività commerciale che mio padre aveva avviato in questo quartiere tanti anni fa e mi auguro che si possa ricreare quel clima che ho vissuto da bambino. Ricordo che anche andare a scuola da solo è stato bello per noi che abitavamo a pochi passi, ma non ero del tutto solo – sorride Carlo – perché lo sguardo attento di mia madre mi seguiva dal balcone”.

Carlo ci regala anche un aneddoto legato agli anni della scuola: “Dietro l’edificioraccontac’era un piccolo agrumeto ed il profumo dei suoi frutti era particolarmente intenso e tra un cambio dell’ora e l’altro, uscivamo di nascosto dalla finestra per cogliere i mandarini e mangiarli in classe. E questo è uno dei ricordi che è ancora vivo in me”.

Carlo Passafaro

Corrado Leonardis, il macellaio

“Sono qui dal 1983dice Corrado Leonardis, il macellaio del quartieree quando questo plesso scolastico era aperto portava tanta gente: famiglie, insegnanti e tanti giovani. C’era più vita a livello sociale, ma anche a livello commerciale. Senza la scuola, adesso, non c’è più niente. Sono anni che si parla dei lavori di ristrutturazione, ma è sempre allo stesso punto: le sue condizioni sono pietose, è un vero peccato”.

Corrado Leonardis

Giuseppe Cantafio, il falegname

Vive a Gimigliano, ma è nel cuore del centro storico cittadino che Pino Cantafio, apre nel 1971 la sua bottega da falegname. Allora era un quartiere vivo e fiorente. “C’erano tante scuole: la Carbone, la Maddalena, la Mazziniraccontae quindi c’erano tanti ragazzi, maestre e bidelli che frequentavano la zona. Ora non c’è più quel clima di allora dove i bambini giocavano per strada e gli adulti avevano l’occasione di confrontarsi, scherzare e chiacchierare: c’era un altro tipo di socialità che ora è svanito”.

Pino Cantafio


L’eterno impasse: slitta tutto. Ulteriore ritardo di due anni

di Laura Cimino

Scuola Mazzini, quale futuro? Un passato turbolento (dieci anni ormai dalla chiusura nel 2011), un futuro sempre più lontano, meno prossimo di quanto si sperava. Altri due anni in stand by, quindi al momento di stop.

Ed è notizia proprio di questi giorni. E’ tanto, in previsione il ritardo accumulato sulla programmazione dei lavori.

E la causa è la conseguenza del contenzioso tra la precedente ditta affidataria dei lavori e il Comune. E, nello specifico,  l’impossibilità dello stesso Comune di accedere all’area.

Tonino De Marco

“La Mazzini – a spiegare i dettagli della vicenda è il responsabile di Agenda Urbana, il dirigente Tonino De Marco–  rientra dalla prima ora nel programma di Agenda Urbana, con un intervento diretto  sulla misura che riguarda l’adeguamento sismico e la ristrutturazione delle scuole cittadine, e fin dall’inizio è stato previsto un intervento sulla questa scuola  per  cinque milioni di euro.

“Purtroppo  sulla Mazzini abbiamo qualche elemento di ritardo rispetto a tutta la programmazione di Agenda Urbana – spiega il dirigente –   l’edificio come è noto era stato oggetto di un precedente intervento, con una rescissione in danno nei confronti della ditta precedente su un finanziamento del ministero dello Sviluppo Economico.

Nello specifico, si trattava di un fondo di circa un milione e settecento mila euro per la riqualificazione sismica che si è rivelato evidentemente insufficiente, a cui è seguita una rescissione in danno nei confronti della ditta che realizzava l’intervento ed il contratto è stato annullato.

L’annullamento e la rescissione hanno portato ad un contenzioso della ditta nei confronti del Comune che ha impedito al Comune di rientrare in possesso dell’area.

Un  ritardo dunque c’è stato oggettivamente finora – spiega ancora tecnicamente il direttore De Marco –  poichè abbiamo dovuto procedere con un verbale di consistenza e un reingresso del Comune sull’area. Questo – ed è notizia delle ultime settimane – ha determinato lo spostamento oggettivo di due anni sulla programmazione”.

“Ora  – a parlare è sempre De Marco – stiamo aspettando la validazione del verbale da parte della Sovrintendenza sotto la cui tutela è posto l’edificio,  essendo un immobile superiore ai 70 anni d’età.

Appena avremo questo, indicativamente per l’estate, noi potremo procedere al concorso per la progettazione e lì bisognerà valutare in sede di progettazione se,sempre su autorizzazione della Sovrintendenza, fare un’operazione di abbattimento di costruzione o intervenire sul manufatto così com’è, che , e si vede da una valutazione ad occhio, è stato ampiamente abbattuto, per cui ci stanno solo i tralicci che sono stati fatti per l’adeguamento sismico.

Questa situazione  – conclude De Marco – prevede la possibilità che non concluderemo l’intervento sulla scuola Mazzini entro la scadenza del 31 dicembre 2023 com’è previsto da Agenda Urbana ma abbiamo già concordato con la Regione uno slittamento di un ulteriore anno quindi ci vorrà sicuramente almeno dicembre del 2024 per la conclusione dei lavori perché sono lavori complessi”.