“Autonomia differenziata: la nostra regione ha tutto da guadagnare”

Il documento del gruppo di lavoro, coordinato dall'imprenditore Giuseppe Nucera del movimento "La Calabria che vogliamo" e dall'economista Matteo Olivieri

Il dibattito sull’autonomia differenziata si sta facendo sempre più acceso, con un clima culturale che tende a scoraggiare prese di posizione a favore del progetto. Tuttavia, secondo il Gruppo di Lavoro sull’Autonomia Differenziata, costituitosi lo scorso 6 settembre a Sellia Marina, la Calabria potrebbe trarre notevoli benefici dal passaggio a questo nuovo sistema. In particolare, una rapida analisi dei “conti pubblici territoriali” mostra chiaramente come la regione soffra attualmente di una distribuzione iniqua delle risorse, che favorisce alcune regioni a statuto speciale a discapito di quelle a statuto ordinario.

 

Secondo gli ultimi dati dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, sebbene incompleti e risalenti al 2021, la Calabria riceve circa 14 mila euro per abitante in termini di spesa pubblica territoriale, a fronte dei 25 e 23 mila euro ricevuti dalle province autonome di Trento e Bolzano. Questo squilibrio pone una domanda fondamentale: un cittadino calabrese vale meno di uno trentino? La Calabria, con quasi quattro volte la popolazione del Trentino-Alto Adige, riceve comunque il 40% in meno di risorse destinate ai servizi pubblici, già oggi non uniformi a livello nazionale.

 

Il gruppo di lavoro, coordinato dall’imprenditore Giuseppe Nucera del movimento “La Calabria che vogliamo” e dall’economista Matteo Olivieri, sottolinea come l’attuale meccanismo di finanza pubblica funzioni su un “doppio binario”. Le regioni a statuto ordinario ricevono una percentuale di compartecipazione ai tributi erariali, attualmente intorno al 67%, mentre le regioni a statuto speciale godono di privilegi significativi. Ad esempio, il 100% del gettito IVA rimane in Valle d’Aosta, mentre il 90% rimane nelle province di Trento e Bolzano, a fronte di appena il 36,4% in Sicilia.

 

Questa iniqua distribuzione delle risorse, secondo il gruppo di lavoro, penalizza profondamente la Calabria. Sarebbe sufficiente un riequilibrio della spesa pubblica in base alla popolazione per restituire alla regione almeno un 20% di risorse in più, che attualmente finiscono altrove, e contribuire così alla risoluzione del cronico debito sanitario.

 

Inoltre, le regioni a statuto speciale non partecipano ai programmi di riduzione della spesa pubblica nazionale come le regioni a statuto ordinario. Questo contribuisce a perpetuare un sistema di disuguaglianze che, a detta del gruppo di lavoro, va avanti da almeno venticinque anni, accentuato ulteriormente dalla pandemia.

 

Nonostante manchino studi ufficiali e approfonditi sull’argomento, le evidenze suggeriscono che l’attuale sistema di ripartizione della spesa pubblica contribuisca all’ampliamento dei divari socioeconomici tra Nord e Sud. Un meccanismo opaco e soggetto a negoziazioni politiche che, secondo il gruppo, richiede una revisione profonda.

L’autonomia differenziata potrebbe, invece, portare maggiore trasparenza e una più equa distribuzione delle risorse tra le regioni. In particolare, la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), che lo Stato si impegna a finanziare, garantirebbe al Sud, e alla Calabria in particolare, un aumento delle risorse a disposizione. Un esempio concreto riguarda il numero di posti negli asili nido: mentre molte regioni del Centro-Nord hanno già raggiunto la copertura minima del 33%, la Calabria è ancora lontana da questo obiettivo, ma l’autonomia differenziata le permetterebbe di chiedere risorse aggiuntive per colmare il gap.

Nonostante le critiche mosse alla legge 86/2024, la cosiddetta “legge Calderoli”, che alcuni ritengono possa minare l’unità nazionale, il gruppo di lavoro sottolinea come siano stati introdotti meccanismi di garanzia per evitare squilibri. Tra questi, il doppio voto a maggioranza assoluta del Parlamento sui documenti preliminari e finali delle intese Stato-Regioni e la revisione periodica dei LEP.