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Gli anziani e i valori ai tempi del Covid19

L’emergenza sanitaria derivante dalla diffusione del Coronavirus ha imposto a chiunque di rivisitare i propri comportamenti giornalieri: il tempo passato come dei reclusi all’interno delle case ha portato, di certo, a un ripensamento nella vita e nelle abitudini di ognuno di noi, restituendoci una dimensione e dei ritmi più “umani” impensabili prima.

Tale situazione ha coinvolto prepotentemente la vita all’interno dei contesti familiari dove la chiusura delle scuole e la possibilità per i genitori di lavorare da casa in smart working ha restituito tempo al dialogo genitori/figli, e, nei casi in cui si ha la fortuna di avere un anziano in casa, a quello fra nonni e nipoti.

Questo deve di certo ritenersi uno dei “vantaggi” dell’immenso tempo passato a casa poiché grazie a questo scambio tra valori, il giovane può ricavare importanti insegnamenti per la sua crescita.

Oggi, i nonni, gli anziani sono ritenuti i soggetti più “vulnerabili” poiché il coronavirus sembra non avere né pietà, né rispetto per loro; la maggior parte dei decessi, purtroppo, si registra tra gli over settantenni, spesso anche a causa della vigenza di altre patologie e così il virus sta procurando alla nostra generazione anche il danno di privarci della generazione più eroica e longeva.

Quella dei nostri nonni è, infatti, una generazione tutt’altro che debole e vulnerabile, è la generazione che ha conosciuto guerre, carestie, terremoti, epidemie, dittature, ma è anche quella che si è temprata sulla sofferenza edificando su essa la rinascita.

Da più parti si sente lo slogan, oggi molto diffuso sui social media che recita “Ai nostri nonni fu chiesto di andare in guerra per salvare il Paese, alla nostra generazione viene chiesto di restare semplicemente a casa”, certo perfettamente condivisibile, ma in realtà i nostri nonni hanno fatto molto di più per la nostra generazione, ecco perché perderli è senz’altro il più grande sfregio che il covid-19 sta compiendo ai nostri danni.

Tempo fa, guardano una trasmissione televisiva un giornalista ha letto un bellissimo dialogo immaginario tra nonno e nipote che ho deciso di riportare poiché sono rimasta davvero impressionata dalla sua attualità e veridicità.

Il dialogo è il seguente: Il nonno: “Noi che siamo nati dopo il 1950 e prima del 2000 siamo i miracolati e la nostra esistenza è una prova vivente. Siamo andati in bicicletta senza mai usare il casco. Il pomeriggio abbiamo fatto i compiti e poi siamo andati a giocare fino al tramonto. I nostri compagni di gioco erano persone, non come gli amici di internet. Quando avevamo sete abbiamo bevuto tutti nello stesso bicchiere senza temere malattie.

Siamo andati scalzi, mangiato solo pane, abbiamo spigolato il grano, coltivato la terra, raccolto il riso, quasi mai guardato televisione, non conoscevamo integratori, eravamo ricchi, poveri ma felici, abbiamo vissuto in armonia, in famiglia. Caratterialmente abbiamo ascoltato i genitori, da loro abbiamo ricevuto consigli che ci hanno forgiato il carattere, abbiamo avuto amore e dato rispetto.

Il nipote disse al nonno: “Come hai potuto vivere: senza tecnologia, senza internet, senza computer, senza droni, senza telefoni cellulari, senza Facebook?

Il nonno rispose: “Proprio come la tua generazione vive oggi senza dignità, senza compassione, senza vergogna, senza onore, senza modestia, senza carattere, senza amore.

Questo bellissimo passo ci porta a riflettere su un dato importante, per anni infatti, uno dei principali problemi a cui si è assistito è stato il lento ma inesorabile assurgere della spersonalizzazione dei rapporti umani: il mondo virtuale appariva come un’oasi di pace, qualcosa a cui aspirare e comunque da preferire ai rapporti “in carne ed ossa” reputati, al contrario obsoleti e magari un po’ retrò.

Si è assistito, in altre parole, all’apologia del virtuale con tutto il suo carico di pregi e difetti, poiché come è noto in ogni manifestazione umana esiste il lato positivo ma anche l’inevitabile lato oscuro.

Poi tutto cambia, il diffondersi della minaccia del contagio porta l’umanità a restare a casa per proteggere la sua incolumità e quella altrui e paradossalmente proprio nel momento in cui si creano misure di contenimento che vietano comportamenti connaturati nel nostro DNA come stringerci la mano, si prescrivono distanze per la sicurezza propria e altrui, l’uomo riscopre il bisogno “fisico” dell’altro, il bisogno di quel calore umano prima considerato obsoleto.

Come spesso accade nei momenti di crisi l’umanità ha l’occasione di migliorare, di riflettere, di capire e magari di rinascere migliore di prima: la lezione arriva ancora una volta dai nostri anziani, dai nostri nonni, da quelle enciclopedie umane di sapere nate dall’esperienza, dalla sofferenza, dalla speranza, da quella impareggiabile Università che è la Vita.

Dott.ssa Claudia Ambrosio – Criminologa