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L’amore ai tempi del coronavirus (n.2)

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L’epidemia da Corona Virus è entrata in una nuova fase. Essa ha preso il sopravvento nel  quotidiano arrivando a condizionare le nostre vite in modo drammatico.

Per una strana ironia del destino quest’anno si compie il triste centenario dell’influenza spagnola che  fu una pandemia influenzale che fra il 1918 e il 1920  arrivò a infettare circa 500 milioni di persone in tutto il mondo, provocando il decesso di 50-100 milioni su una popolazione mondiale di circa 2 miliardi.

Anche nel 2020 la malattia da coronavirus (COVID-19) ha colto il genere umano di sprovvista: tuttavia  al giorno esistono le conoscenze e di mezzi per evitare conseguenze così disastrose.

In assenza di vaccino le malattie molto diffusive come la SARS da  COVID-19 possono essere bloccate in  via definitiva dalla cosiddetta immunità di “gregge” ovvero solo dopo che il virus avrà circolato così diffusamente nel genere umano gli anticorpi, frutto dell’immunità acquisita a seguito di contatto con il virus, saranno talmente presenti nella popolazione (ovvero nel “gregge”) che bloccheranno l’ulteriore avanzata del virus e proteggeranno anche coloro che ne sono sprovvisti. Tuttavia per arrivare a questo risultato c’erano due possibili strade: lasciar correre il virus a briglia sciolta per ridurre i tempi di ottenimento dell’immunità di gregge, con il grave rischio però di veder crollare i nostri sistemi sanitari di fronte ai casi che si sarebbero concentrati in un tempo molto ristretto oppure frenarne la corsa attraverso provvedimenti drastici volti a limitare i contatti umani e, quindi, rallentare la circolazione del virus. Alla fine, seppur con qualche riluttanza iniziale si è scelta la seconda strada, ovvero limitare la circolazione di persone per evitare di esportare il virus da una zona all’altra del paese e limitare tutte le possibili forme di aggregazione (scuole, eventi, manifestazioni, etc.) per limitare il contagio.

Provvedimenti questi dolorosi ma, a questo punto, necessari, e soprattutto non brevi poiché, se si allentasse la presa, il virus potrebbe riprendere la sua folle corsa. Infatti i risultati si vedranno a distanza a meno che il cambio di stagione non possa aiutare; tuttavia anche su questo punto gli esperti non sono molto rassicuranti, poiché non c’è evidenza che il virus possa fermarsi per l’aumento di temperatura.

Allora cosa fare? Be’ ci siamo tanto lamentati che  le nuove tecnologie ci allontano dagli altri, in tal caso possiamo utilizzarle per rimanere vicini al resto dell’umanità.  Un’umanità che ha, al giorno d’oggi, i mezzi per sopravvivere “a distanza di sicurezza”.  Senza il famigerato contatto diretto possiamo socializzare (Facebook), lavorare (telelavoro),  fare acquisti (Amazon ed affini).

Perchè allora “L’amore ai tempi del coronavirus” è ancora il titolo di quest’articolo? Perché l’umanità può  sopravvivere al coronavirus proprio grazie all’amore per se stessa.

Amore inteso come consapevolezza che le scelte che facciamo di non esporci al contagio non difendono solo noi stessi ma tutti gli altri, in particolare i più deboli.

Amore inteso come assunzione di comportamenti prudenti senza cedere al fanatismo di chi persegue la caccia all’untore.

Amore inteso come volontà di assumersi i rischi per il benessere di tutti: gli operatori sanitari, spesso bistrattati ed incompresi, stanno dimostrando di saper lavorare in prima linea con dedizione ed altruismo rappresentando quella parte buona della nostra umanità che ci aiuta a guardare al futuro con ottimismo.

Dott. Francesco Talarico
Responsabile
Direzione Medica di Presidio De Lellis
Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio
Catanzaro

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