Layla, la sua voglia di vivere e la buona sanità calabrese

Valentina racconta come medici e infermieri della Ton del "Pugliese", ma anche la sua ginecologa e la pediatra, hanno permesso alla sua bambina di vedere la luce

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Quella che stiamo per raccontare è la storia della piccola Layla. O meglio è la storia di come questa bimba è venuta al mondo, rischiando la vita assieme alla sua giovane mamma Valentina.

 

Quella che state per leggere non è una delle classiche vicende di malasanità che ci aspetteremmo di trovare online ma di buona sanità, quella che quotidianamente medici ed operatori sanitari si trovano a praticare per salvare vite e che raramente finisce sui giornali. A noi le belle notizie piacciono.

 

A contattarci è proprio Valentina, una donna poco più che trentenne di Sellia Marina la quale, a distanza di quattro mesi circa dal 15 maggio scorso, ha deciso di voler narrare quello che lei stessa considera «un miracolo avvenuto grazie a degli angeli». Per lei e suo marito Salvatore Layla è la seconda figlia, la tanto desiderata sorellina per Gaia, 4 anni.

 

Valentina per nove mesi porta avanti una gravidanza perfetta, senza nessun tipo di problema finché una sera avverte dei forti dolori addominali e si accorge che erano alquanto “strani”. Senza perdere tempo lei ed il marito si mettono in auto e raggiungono l’ospedale Pugliese – Ciaccio di Catanzaro. Appena arrivati li mandano diretti nel reparto di ginecologia “dove troviamo la dottoressa Michela Greco – racconta Valentina – che immediatamente si accorge che qualcosa non va: l’ecografia ha rilevato una sofferenza fetale e la bambina è in bradicardia”.

 

“Senza farmi accorgere di nulla, la dottoressa Greco assieme all’ostetrica Irene Mancini mi catapultano in sala operatoria, tranquillizzandomi e non facendo trasparire la benché minima preoccupazione, mi praticano un cesario d’urgenza e, date le condizioni tutta l’équipe è convinta che avrebbe estratto ormai una bimba senza vita”, racconta ancora.

 

Tuttavia Layla non ha nessuna intenzione di morire ed il suo cuoricino batte ancora. Lentissimamente ma batte. I medici non si perdono d’animo: praticano alla piccola la rianimazione forzata e riescono a tenerla in vita.

Il problema successivo è strappare alla morte la madre poiché, dopo aver fatto nascere Layla i sanitari si accorgono che tutto ciò che era accaduto fino a quel momento era stato dovuto ad un distacco di placenta con emorragia interna coagulata, invisibile ai monitor e senza perdite di sangue esterne, per cui «se avessi tardato dieci minuti a mettermi in auto, molto probabilmente saremmo morte lungo il tragitto da Sellia Marina a Catanzaro» riferisce emozionata la giovane madre.

 

Il 15 maggio scorso l’équipe di turno del reparto di ginecologia dell’ospedale Pugliese – Ciaccio di Catanzaro salva Valentina e sua figlia Layla la quale subisce però le conseguenze della mancanza d’ossigeno, per cui i medici decidono di mettere la bimba in stato di ipotermia, attraverso un macchinario che il reparto di Terapia Intensiva Neonatale di Catanzaro possiede da tempo. Si tratta di una pratica che viene dall’America, relativamente innovativa e che, in questo caso ha permesso alla piccola di stare oggi tra le braccia dei suoi genitori.

Dall’ipotermia si è passati alla degenza in culla termica con tanto di intubazione e poi gradualmente per più di un mese, fino a quando Valentina e Salvatore hanno potuto portare a casa Layla e farle finalmente conoscere sua sorella Gaia.

“Se oggi posso raccontare tutto questo è grazie alle già citate dottoresse Greco e Mancini, i medici della Tin, tutti nessuno escluso, le infermiere (soprattutto Anna e Lucia che hanno coccolato Layla come fosse figlia loro!) ed anche la mia ginecologa Federica Visconti e la pediatra Paola Pelaggi”.

“Mi sento anche di voler ringraziare l’intera comunità selliese che ci è stata molto vicina in gesti e preghiere ed il nostro parroco Don Rosario Carrabetta che non ci ha lasciato senza il suo supporto un solo giorno”, sono le parole conclusive di Valentina. Layla sta crescendo e sta bene. Se la mancanza prolungata d’ossigeno abbia fatto danni o meno lo si saprà solo più avanti”. “Una cosa alla volta” dice sua madre.

 

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