La Shoah delle Donne. Una storia quasi tutta da raccontare foto

Il convegno del’IIS De Nobili e di Anpi in Sala Concerti al Comune

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“Considerate se questa è una donna/
senza capelli e senza nome/
senza più forza di ricordare/
vuoti gli occhi e freddo il grembo/
come una rana d’inverno”.
I versi di Primo Levi campeggiavano sulla locandina del convegno “Le Donne e la Shoah”, organizzato dall’Istituto scolastico superiore G. De Nobili di Catanzaro in collaborazione con la sezione dell’Anpi, l’Associazione dei partigiani d’Italia.

All’incontro, nella Sala Concerti di Palazzo De Nobili, sede della municipalità, hanno partecipato gli studenti delle classi V, in ordinato e attento ascolto. Punto che deve essere ascritto a merito dell’Istituto diretto da Angelo Gagliardi che brevemente jha introdotto i lavori. Tenuto a due giorni dalla Giornata della memoria, il convegno ha inteso dare un senso di originalità sia nella data – la memoria, è stato anche detto, non deve limitarsi alla commemorazione ufficiale nella data stabilita – sia nel tema. In effetti, c’è una specificità femminile nell’abisso dell’inferno persecutori e concentrazionario cui furono costretti i sei milioni di ebrei periti nei campi di sterminio, per non dire dei deportati sinti, rom, diversi e politici. Peculiarità che solo da qualche anno è stata affrontata e variamente declinata con l’emergere delle testimonianze dirette, della diaristica e l’evidenza fisica di alcune figure femminili di grande umanità, come Liliana Segre in Italia. Come è stato nell’esperienza di Primo Levi, già ci fu ritrosia ad affrontare l’orrore in generale, tanto che solo nel 1958 Einuadi decise di pubblicare Se questo è un uomo. Anche l’esperienza femminile dell’essere ebrea deportata e talvolta scampata è stata a lungo sottaciuta, pure nell’evidenza che il contributo in vittime delle donne si aggira intorno al 70 per cento del totale. C’era del calcolo, preverso, anche in questo. Recidere la trasmissione genitoriale era uno dei mezzi più diretti per arrivare alla ”soluzione finale”.

A ottanta anni ormai dall’ingresso della cavalleria sovietica ad Aushwitz, dal disvelamento dell’abisso, intanto è necessario avere memoria. Tenendo in mente, acanto, la storia, ha saggiamente suggerito Donatella Monteverdi, assessore comunale alla Cultura. Perché man mano che ci si allontana nel tempo dalla Shoah, può difettare l’emotività. Ma rimane la determinazione a impedire il ripetersi di esperienze anche sotto mentite spoglie. La storia – ha detto l’altro assessore presente Nunzio Belcaro, all’istruzione – non si ripete mai due volte nello stesso modo, ma è indubbio che si sta assistendo nel mondo a un arretramento della democrazia.

Non sono state solo parole nel convegno. Congratulati da tutti, a iniziare da Maria Rita Galati che ha condotto la mattinata, i ragazzi della Quinta A del Liceo artistico hanno montato un video. In bianco e nero le immagini grafiche di volti scavati e corpi nervosi, le note di un violino e di un piano non riescono a coprire voci sommesse e pianti soffocati, nel freddo, nella fame e nella paura. Alla fine, a incubo finito, perlomeno quello fisico, è Liliana Segre a prestare una sua frase: “La libertà non sembrava neanche vera tanto era bella”. Il violino, tra in intervento e un altro, in Sala Concerti è risuonato in legno e corda, dal vivo, a opera del Maestro Maria Vittoria Armone: prima una melodia della tradizione ebraica, poi brani tratti da celebri colonne sonore a tema. Shoah e cinema. Binomio esplorato da Eugenio Attanasio, direttore della Cineteca della Calabria. Oggi si producono molti film sulla Shoah. Molti più di prima. E raccontati in modo diverso. Lo spartiacque Attanasio lo individua in Schindler’s List, il film del 1993 di Steven Spielbierg. A esemplificare il primo versante cita Kapò di Gillo Pontecorvo, film del 1953, storia di una prigioniera che diventa custode e aguzzina. Inaspettata ma sorprendente la citazione per il secondo, il documentario Testimoni a Belzen, del regista catanzarese Mario Foglietti.

Due i contributi in videoconferenza. Il primo in diretta dal Memoriale della Shoah di Milano, protagonista il presidente Roberto Jarach che raccoglie reperti, testimonianze e ricordi degli anni bui, tra cui il Muro con i nomi dei deportati nei primi due convogli che li portarono direttamente dal Binario 21 ad Auschwitz. Jarach ha parlato della commemorazione ultima, ha riferito della presenza preponderante delle testimonianze femminili, tra le quali Liliana Segre e le due sorelle Bucci, Tatiana e Andra. La deportazione, secondo il presidente del Memoriale, è stata esperienza particolarmente dura per le donne, sia per la sensibilità femminile sia perché la separazione dagli affetti è cosa tremenda.

Il secondo contributo da remoto è venuto da Marta Petrusewicz, docente di Storia all’Università della Calabria: “Nei carnefici esiste l’obiettivo di eliminare chi può perpetuare”. E ha raccontato la storia vera di Dorca, una bambina ebrea polacca scampata alle fucilazioni, ai rastrellamenti e alla deportazione a costo di passare interi mesi nel freddo di una foresta e nel buio di una tana, intenta a cancellare le sue orme nella neve, come animale braccato.

Generico gennaio 2024

Un saluto da parte di Franca Falduto, coordinatrice della Consulta degli studenti, intervenuta con la segretaria della Consulta, la studentessa Federica Saraco, anche a nome dell’Ufficio scolastico regionale: la memoria è bene collettivo, ha detto Falduto. Che ha riportato quanto detto dal presidente Dergio Mattarella due giorni fa: “I campi non sono funghi velenosi cresciuti all’improvviso, ma sono frutto di una lunga preparazione”. “La soglia di dolore estrema della Shoah – ha ammonito da parte sua Mario Vallone, presidente regionale di Anpi – ha reso possibile tutto ciò che è venuto, e cu si abitua alle migliaia di morti dopo. Si insite molto sul ‘mai più’. Ma è un falso. Perché intanto non si è imparato nulla. Esistono oggi 59 conflitti in corso, quella che Papa Francesco chiama guerra mondiale a pezzi. Non basta il dolore, non bisogna piangere per i morti, ma lottare per i vivi. E combattere i razzismi. ‘Quando il diverso da noi è il nemico le porte del lager si possono riaprire’, chiude Vallone citando ancora Primo Levi”.

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Dell’altro orrendo sterminio nazista, quello del popolo rom che chiama Porrajmos (devastazione), ha parlato con empatia Maria Consuelo Abdel Hafiz Mohammed Ramadan, dottoranda in Migrazioni, sistemi sanitari europei e tutela dei diritti fondamentali all’Unical. Oltre 500mila rom e sinti furono uccisi nei lager nazisti. Perché diversi. Seviziati torturati anche per esperimenti scientifici. I giovani hanno grande responsabilità verso il rispetto delle diversità. “Apritevi alle diversità contro la ghettizzazione. Discriminare per abitudini e consuetudini è grave”, ha detto rivolto ai giovani studenti. Una di loro, Ilona Bianco, ha recitato, con struggente dolcezza: “Son morto con altri cento/ Son morto ch’ero bambino/ Passato per il camino/ E adesso sono nel vento/ Adesso sono nel vento”. Era Francesco Guccini. Era il 1967. Anche qui, per non dimenticare.

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